Nel nuovo mondo del lavoro si scoprono superati certi archetipi e certe catalogazioni tradizionali secondo cui chi ha una certa inclinazione deve intraprendere una determinata carriera universitaria, che condurrà ad un determinato lavoro. Tuttavia questi preconcetti assumono notevole importanza quando orientano le nostre scelte personali di vita ma oggi le associazioni tra personalità, ambiti disciplinari di studio e tipologie di attività svolte in un particolare ruolo perdono di importanza.
Ecco ad esempio due luoghi comuni, che già sono stati superati con la globalizzazione e il permeare della tecnologia in molteplici ambiti: per svolgere mansioni che richiedono creatività e capacità relazionali non è necessario possedere una preparazione tecnica; chi possiede una forte competenza tecnica non può svolgere mansioni di tipo creativo e rimane estraneo a tutte le attività che coinvolgono le abilità relazionali. È esattamente il contrario: oggi chi svolge un ruolo creativo/relazionale necessita di un bagaglio di specializzazione e conoscenza o corre il rischio di rimanere con un lavoro mal retribuito, non sicuro e di scarsa qualità. Allo stesso modo, la rivoluzione tecnologica rende il contributo e il supporto dei tecnici sempre più prezioso nella gestione di progetti di innovazione e condivisione delle soluzioni; il tecnico è sempre più un creativo, spesso ha il ruolo di commerciale e assume anche le vesti di formatore.
Tutte le figure necessitano di tecnica, ma cosa si intende per tecnica?
Ci riferiamo a quell’insieme di regole e metodi su cui si fonda la pratica di un’attività manuale o intellettuale e dalla cui conoscenza e applicazione dipende la riuscita di tale attività.
Nel mondo attuale chi svolge un lavoro ad elevata intensità relazionale deve interrogarsi circa le proprie competenze tecniche e crearsi un background tecnico, qualora non ne disponesse, investendo in formazione; viceversa chi ricopre ruoli ad alto contenuto tecnico deve essere pronto ad accogliere sfide future che richiedono di mostrare anche le proprie abilità creative e competenze relazionali.
È curioso notare come molti manager con lauree umanistiche hanno dimostrato di avere una maggiore capacità di ascolto e di gestione delle sfide complesse, una vision aperta e di essere in grado progettare novità e trovare idee. In questi corsi di studio si impara ad imparare e a pensare. Le abilità di pensiero critico, insomma, sono preziose in ogni professione: capacità analitiche e argomentative permettono soprattutto di adattarsi ai contesti in continuo cambiamento. Forse il valore aggiunto di queste lauree può consistere proprio nel fatto che non esista una corrispondenza univoca tra percorso di studi universitario e sbocco occupazionale. Molti illustri professionisti si sono laureati in ambito umanistico per poi riconvertirsi in ambiti molto diversi (dall’ict, alle vendite, al digitale e tech): il CEO di Youtbe, S. Wojcicki, ex manager di Google, è laureata in storia e letteratura ad Harvard; Jack Mal, magnate di Alibaba, si è laureato al Hangzhou Teacher’s Institute con specializzazione in lingua inglese; il cofondatore di Airbnb, B.Chesky, ha conseguito una laurea in belle arti e ancora S. Butterfield, fondatore di Flickr, vanta una laurea in lettere e filosofia.
Alla luce di queste evidenze, anche i programmi di orientamento scolastico allineandosi possono aiutare a far prendere coscienza della rapida evoluzione del mondo del lavoro e guidare i giovani studenti verso la strada migliore rispetto alle proprie capacità e passioni.