Smart working
Nel 1985 il premio Nobel Gabriel Garcia Marquez descrisse una storia d’amore lunga una vita in un Paese infestato dalla malattia. Ora noi invece proviamo, con capacità di scrittura ben minori, a raccontare il lavoro nel nostro Paese in questi giorni difficili, nei quali il Coronavirus ha costretto molte aziende e lavoratori a cambiare le proprie abitudini.
Si scrive, si legge di smart working ma soprattutto si fa smart working in questi giorni: stiamo assistendo al primo grande stress test di questa modalità di lavoro. Si tratta di un momento cruciale nell’organizzazione del lavoro di molte imprese, in particolare quelle che fino ad ora hanno mostrato poca propensione a far lavorare i propri dipendenti fuori ufficio.
Dal recente sondaggio del Sole 24Ore, che ha posto la fatidica domanda “riuscite a lavorare da casa?”, è emerso che nel 79% dei casi lo smart working riesce.
Quali fenomeni stanno emergendo?
Dal punto di vista aziendale gli approcci sono molteplici, alcune aziende sono ancora poco inclini allo smart working, per ragioni “ideologiche” più o meno confessabili. Le aziende più illuminate che lo applicano lo fanno in modalità differenti per quanto riguarda l’assiduità e modalità di controllo sui propri dipendenti. Mentre altre aziende, prima del cambio di modalità di lavoro, hanno lavorato su un cambio di “filosofia” abbandonando la logica del controllo e della valutazione della quantità di tempo trascorso a lavorare in ufficio, per adottare la logica del risultato e della valutazione della qualità del lavoro svolto.
Dal punto di vista delle persone che lavorano, questo smart working “obbligato” ha portato alla luce un tema importante, quello delle relazioni. Il posto di lavoro è il luogo presso il quale si trascorre più tempo nell’arco della giornata. È significativo e fondamentale per ognuno di noi, inoltre non è solo uno spazio nel quale “generare business e portare a termine progetti” ma un ambiente intensamente relazionale, abbandonarlo (una settimana per i ritmi frenetici tipici di certi contesti aziendali è tutt’altro che un periodo brevissimo) è stato per alcune persone comunque alienante. Inoltre non possiamo ignorare il valore nascosto delle relazioni d’ufficio. Si rischia di perdere qualcosa in termini di apprendimento informale in assenza del confronto fisico con il proprio team. Le dinamiche di una riunione in video conferenza non sono uguali a quelle di una riunione dal vivo. Fa differenza essere fisicamente presenti quando desideriamo conseguire particolari obiettivi nelle trattative negoziali o quando è necessario prendere delle decisioni ? È importante decodificare tutti i segnali e il linguaggio paraverbale dei nostri clienti o collaboratori. Lavorando da remoto può venir meno anche l’attitudine a metterci in discussione, competere ed adattarci. Quindi il cambio in direzione smart working non è a costo zero.
La fine di questo test “involontario” sullo smart working ci porterà a ripensare positivamente il tema fino ad oggi considerato, soprattutto dal punto di vista economico (riduzione di costi derivante dal minor numero di dipendenti che fisicamente occupano spazi di lavoro), ecologico (riduzione delle emissioni di CO2 per riduzione dei viaggi casa – lavoro) e pratico (vantaggi derivanti dal lavorare da casa, come la riduzione del tempo trascorso nel traffico o la possibilità di gestire meglio la propria vita famigliare) e continuerà ad essere utilizzato, in alcuni casi anche più di prima, da molte realtà.
Tutti gli attori coinvolti stanno realizzando che per smart working non si intende solo il lavorare come in ufficio ma da casa, bensì applicare una nuova filosofia del lavoro, basata su obiettivi e produzione calcolata sul risultato, con flessibilità oraria nel rispetto del tempo massimo di lavoro settimanale. Questo implica una responsabilizzazione dei singoli, impone loro di relazionarsi in modo diverso, di gestire il tempo in modo diverso, di muoversi su un orizzonte “imprenditoriale”, dove ci si misura sugli obiettivi e sulla gestione di progetti. Non si tratta insomma di “svolgere on line i propri compiti da casa”, si tratta di abbracciare un modo completamente diverso di lavorare.
In Europa già l’11,6% dei lavoratori è coinvolto in varie forme di lavoro a distanza, in testa alla classifica spiccano i Paesi nordici come la Svezia (31%) e l’Olanda, Islanda e Lussemburgo (27%), Danimarca e Finlandia (25%). Forse anche l’Italia quando questa difficile situazione migliorerà e si ritornerà alla normalità, potrà entrare nella parte alta della classifica, sfruttando al meglio i vantaggi dello smart working, tornando competitiva a fare business e guardare con ottimismo al futuro.
Questo periodo di isolamento, come noto a tutti noi, va ben oltre il lavorare da casa, pertanto possiamo considerarlo come un tempo prezioso, approfittandone per fermarci a riflettere, riscoprire passioni, generare nuove idee da implementare professionalmente ed essere più consapevoli del nostro ruolo nel mondo (non solo del lavoro), dell’importanza che ognuno di noi ha e dell’apporto dato quotidianamente alla propria organizzazione.
Cerchiamo di trarre il meglio da questa situazione, certi che tutto andrà bene.